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Ari Aster, Autocompiacimento registico, delicate palette cromatiche, Florence Pugh, horror, Jack Reynor, Pawel Pogorzelski, Vilhelm Blomgren, Will Poulter, William Jackson Harper
Midsommar e Hereditary sono due horror fratelli ma non gemelli, seppur condividano una marcata rassomiglianza simbolica e tematica. Entrambi sono creature del giovane sceneggiatore e regista statunitense Ari Aster, entrambi hanno la loro genesi in un periodo seminale nella carriera del cineasta. I contorni dello stesso non sono chiavi, ma Aster ne parla come di un biennio così ricco di lutti, sfortune, drammi per sé e per la propria famiglia da portarlo a pensare ai propri primi progetti artistici e alla propria vita come perseguitati da una maledizione.
Secondo lungometraggio ma primo progetto messo in cantiere dal regista, Midsommar per la sottoscritta è nettamente superiore a Hereditary. Sia per come scelga un contesto piuttosto radicale e ci si attenga, senza tentare si spiegare sé stesso o peggio rincorrere lo spettatore, sia per come rifugga le inutili complicazioni folk barocche che affossavano la seconda metà di Hereditary in una marea di nonsense e soluzioni di ripiego.
Se in Hereditary l’oscurità si traduceva anche in annebbiamento narrativo, la luce eterna svedese dona a Midsommar un’inaspettata, potente chiarezza, che rendono il film davvero riuscito.