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Alejandro Goic, Alejandro Sieveking, Alfredo Castro, Antonia Zegers, Autocompiacimento registico, Berlinale 65, delicate palette cromatiche, film PESO, fotografia leccatissima, Jaime Vadell, Marcelo Alonso, Pablo Larraín, Roberto Farías, suore preti e altre cristiane malvagità, tratto da una storia di poco falsa
Con questo post voglio correggere un torto, un torto colossale, che si è consumato per l’intero 2015. Il tutto cominciò con la Berlinale 65, la scorsa edizione, quando il nuovo film di Pablo Larraín riscosse un consenso clamoroso e venne dato per favorito fino all’ultimo, quando dovette accontentarsi di un secondo posto. Taxi di Jafar Panahi è un film intenso e riuscitissimo, ma la vittoria se la meritava il maestoso, potente e PESO film di Pablo Larraín, che tra l’altro era incredibilmente in linea con i gusti berlinali. Non bastò.
Inviato dal Cile come proprio rappresentante agli Oscar e forte dell’Orso d’Argento, il film è stato snobbato già nella longlist di categoria. Un’esclusione abbastanza prevedibile, tenendo conto della preferenza accordata a film ben più tradizionali e concilianti di questo. Poi però come front runner troviamo un filo spaccabudella come Il figlio di Saul e in gara Il caso Spotlight, perciò c’è ben di che essere irritati.
Ciliegina sulla torta, una distribuzione italiana tardiva (quanti mesi fa vi ho parlato di Taxi Teheran?) e confusa, tanto che questa recensione, scritta da tempo, è rimasta nel limbo delle bozze per mesi, senza che nessuno sapesse quando sarebbe uscito nelle sale.
Rimediamo a tutto questo: cinefili, questa settimana il film da vedere è Il Club.
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