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Berlinale 69, Denis Ménochet, François Ozon, Melvil Poupaud, suore preti e altre cristiane malvagità, Swann Arlaud, tratto da una storia di poco falsa
Non è un mistero che François Ozon sia tra i miei registi preferiti e non è tanto una questione di livelli qualitativi, fama o allure festivaliera. Ci sono là fuori registi migliori? Sì, ma davvero pochi combinano la prolificità, il trasformismo e l’estrema fruibilità narrativa del regista francese.
È uno di quei nomi che suscita sempre la mia curiosità e di cui vedo le novità più volentieri (e anche con una certa impazienza) e il mondo sa se il Cinema non sarebbe migliore se questa qualità non fosse più diffusa tra i grandi cineasti. Non è che François Ozon sia meno intelligente, acuto o acculturato dei suoi colleghi festivalieri, è che da tempo ha messo da parte l’urgenza di impressionare o primeggiare, mentre rimane una sua priorità quella di raccontare con estrema chiarezza e accoglienza le sue storie. Da un regista così finisci per voler vedere anche un titolo come Grazie a Dio, incentrato sullo scandalo pedofilia nella diocesi di Lione e sull’affaire Barbarin.
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