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Tendenzialmente sono quel tipo di persona che detesta le considerazioni che cominciano da lontano, da un frammento di vita personale che suona più come egocentrismo che come spunto di valore a una recensione. Già so che non mi perdonerò la debolezza di aver infranto questo mio caposaldo, aprendo la recensione di Tomorrowland con il ricordo di mia madre che di tanto in tanto, guardando un punto lontano, indistinto ma inarrivabile, mi racconta di quanto, da giovane, il futuro che si immaginavano possibile (e vicino) non somigliava per niente al mondo di oggi. Lo dice sempre con una punta di rammarico. Il loro futuro era luminoso, iperpositivo, popolato da automobili volanti e pillole che rimpiazzano i pasti e la fame. Il futuro antico e perduto della golden age della fantascienza, della giovinezza di mia madre, si è rifugiano in Tomorrowland.