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Amy Ryan, Billy Magnussen, Domenick Lombardozzi, Joel e Ethan Coen, Mark Rylance, Matt Charman, momento patriottico bandiera inclusa, Steven Spielberg, Tom Hanks, tratto da una storia di poco falsa, uno spia l'altro pure
Il 2015 delle spie al cinema si sta per chiudere e lo fa con il nuovo film di Steven Spielberg, grande nume tutelare del cinema americano, assistito dai fratelli Coen alla sceneggiatura e da Tom Hanks nel ruolo di protagonista istrionico di una vera storia di trattative e sotterfugi tra URSS e Stati Uniti durante i freddissimi rapporti diplomatici negli anni ’60. Difficile immaginare un’espressione più alta dell’establishment hollywoodiano, pronta a confrontarsi con un filone in grande spolvero.
Il ponte delle spie arriva in un momento di carriera più che positivo per Spielberg, in cui pur non dettando più da decenni la linea espressiva del cinema tra il commerciale e l’artistico negli Stati Uniti, rimane comunque tra i pochi registi in grado di scomodare un tale parterre di stelle, di farsi finanziare grandi produzioni di genere più disparati (dall’animazione e infanzia con TinTin e il futuro G.G.G. fino alla retronostalgia fantascientifica con Ready Player One) ma soprattutto si mantenere una solida critica positiva ai suoi lavori, a differenza di firme altalenanti come Ridley Scott. Con cui però condivide un’importante caratteristica senile: entrambi hanno bisogno della sceneggiatura giusta al loro servizio. Deve essere la storia a funzionare per una regia di gran classe ma ormai incapace di mettere una pezza ad eventuali buchi della sua narrativa.