Una volta che avrete acquisito una certa familiarità con la letteratura giapponese del Novecento, vi basteranno poche pagine per poter stabilire com assoluta precisione se il romanzo che state leggendo sia stato scritto prima o dopo. C’è una fortissima linea di demarcazione, un prima e dopo appunto, nella produzione letteraria nipponica novecentesca. Anzi, a ben vedere la letteratura giapponese tende proprio a procedere per lunghi tratti di strada a velocità e direzione invariata, per poi subire brusche sterzate impartite dalla Storia. L’ultimo di questi cambiamenti epocali non ha investito solo la letteratura, ma la società giapponese nel suo insieme. Il Novecento giapponese è stato un periodo di profondi cambiamenti sociali per i nipponici e di conseguenti turbamenti per gli scrittori che ne raccontavano la realtà. Appena usciti da un isolazionismo centenario, l’impero conobbe in un pugno di decenni prima l’espansionismo coloniale, poi la guerra mondiale, poi le due Bombe, la fine dell’ultimo residuo di divinità insita nell’Impero del Sole e un decennio di occupazione statunitense. Tutti i conseguenti cambiamenti letterari sono una risposta originata da una situazione drammatica, uno stimolo negativo, doloroso. L’ultimo grande cambio di rotta invece fiorisce nel pieno boom economico, durante gli anni ’80, quando due scrittori che condividono lo stesso cognome distrussero le convenzioni letterarie precedenti, mentre un’intera generazione di giovani sfidava la società tradizionale come forse mai prima d’ora nell’Arcipelago.
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