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Autocompiacimento registico, Cannes 2017, György Cserhalmi, Kornél Mundruczó, Merab Ninidze, se capisce e non se capisce, Zsombor Jéger
Kornél Mundruczó è tornato e chi ha già avuto modo di entrare in contatto con il suo cinema sa che non è certo il tipo da girare un film che lascia indifferenti. D’altronde stiamo parlando di un cineasta così matto e così geniale da presentare qualche anno fa a Cannes White God, ovvero un film che racconta l’apocalisse canina generata dalla malvagità umana. Ovvero un film in cui Kornél Mundruczó ha girato decine di scene lavorando con quasi un centinaio di cani contemporaneamente.
Il sospetto è che è guidare il suo percorso creativo non sia tanto una narrazione, quanto la voglia di porsi una sfida tecnica per altri semplicemente inimmaginabile, all’intero dello scenario non certo florido di risorse economiche e tecniche del cinema ungherese. Con Una luna chiamata Europa il regista (insieme al suo malcapitato attore protagonista Zsombor Jéger) affronta una serie di stunt al limite dell’incredibile.