Roberto Bolaño è morto nel 2003 con la speranza che il suo romanzo capolavoro, 2666, venisse diviso in cinque volumi e contribuisse in maniera sostanziale a sfamare i suoi eredi. Un calcolo materialista sì ma figlio dell’esperienza di un uomo che ha trascorso la sua vita tra una miriade di lavoretti e impieghi saltuari, la cui opera letteraria è divenuta la sua attività primaria solo dopo molti libri e tante delusioni personali.
Bolaño è morto dopo aver trascorso gli ultimi anni in maniera appartata, lontano dal clamore della ribalta che lo chiamava sempre più, forse scottato irrimediabilmente dai tanti rifiuti, dalle troppe alzate di spalle. Se ne è andato sapendo di essere amato e apprezzato, ma inconsapevole che da lì a 15 anni il suo nome sarebbe stato il più osannato e riverito dell’intero Sud America nel panorama della letteratura high brow. Le sue opere dimenticate si sarebbero tramutate in gemme preziose, lette tanto quanto i romanzi che lo hanno lanciato a livello internazionale. La pista di ghiaccio, un esordio stampato in qualche decina di copie e scomparso poco dopo, si sarebbe trasformato in una delle fonti d’ispirazione per un nuovo caposaldo del racconto fittizio e letterario della violenza e del crimine.
Recensionando / La pista di ghiaccio di Roberto Bolaño
17 domenica Feb 2019
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