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Archivi tag: suore preti e altre cristiane malvagità

Recensione / Grazie a Dio di François Ozon

21 lunedì Ott 2019

Posted by Elisa G. in 2018, Cinematografò, Recensionando

≈ 1 Commento

Tag

Berlinale 69, Denis Ménochet, François Ozon, Melvil Poupaud, suore preti e altre cristiane malvagità, Swann Arlaud, tratto da una storia di poco falsa

Non è un mistero che François Ozon sia tra i miei registi preferiti e non è tanto una questione di livelli qualitativi, fama o allure festivaliera. Ci sono là fuori registi migliori? Sì, ma davvero pochi combinano la prolificità, il trasformismo e l’estrema fruibilità narrativa del regista francese.
È uno di quei nomi che suscita sempre la mia curiosità e di cui vedo le novità più volentieri (e anche con una certa impazienza) e il mondo sa se il Cinema non sarebbe migliore se questa qualità non fosse più diffusa tra i grandi cineasti. Non è che François Ozon sia meno intelligente, acuto o acculturato dei suoi colleghi festivalieri, è che da tempo ha messo da parte l’urgenza di impressionare o primeggiare, mentre rimane una sua priorità quella di raccontare con estrema chiarezza e accoglienza le sue storie. Da un regista così finisci per voler vedere anche un titolo come Grazie a Dio, incentrato sullo scandalo pedofilia nella diocesi di Lione e sull’affaire Barbarin.
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Recensionando / Il nome della rosa di Umberto Eco

04 lunedì Mar 2019

Posted by Elisa G. in Libreria, Recensionando

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Tag

Bompiani, detective stories, letteratura italiana, libri sull'amore per i libri, omoaffettività, suore preti e altre cristiane malvagità, Umberto Eco

Incubato durante il violentissimo unicum creativo e storico degli anni ’70, pubblicato da Bompiani nel 1980 come il tormentone letterario dell’anno, Il nome della rosa è un libro che ha cambiato la storia letteraria italiana, diventando l’ultimo grande classico riconosciuto del canone italiano novecentesco. Quarant’anni fa Umberto Eco non era ancora Umberto Eco, o per meglio dire non aveva ancora sviluppato appieno il lato popolare e pop della sua figura, la cui celebrità internazionale e nazionale non era ancora esplosa al di fuori dei mondo universitario  europeo (dove era già riconosciuto come uno dei più grandi umanisti viventi).
L’ultimo umanista europeo è morto nel 2016, lasciandosi alle spalle un’eredità culturale enorme, una biblioteca personale sterminata e un modo di essere intellettuale interamente inserito nello spettro positivo del termine, senza codazzi snob e velenosi, un’attitudine mentale verso la cultura e la società da cui scaturisce che sembra ormai perduta. Eco era l’altissimo e il volgare, l’uno sbrogliato fino a diventare d’immediata comprensione, l’altro smussato e tagliato fino a rivelare la sua lucente anima nobile. Il nome della rosa, forse il suo più grande rimpianto da scrittore, è anche la sua eredità più luminosa e importante.
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Recensionando / Il Club

24 mercoledì Feb 2016

Posted by Elisa G. in 2015, Cinematografò, Recensionando

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Tag

Alejandro Goic, Alejandro Sieveking, Alfredo Castro, Antonia Zegers, Autocompiacimento registico, Berlinale 65, delicate palette cromatiche, film PESO, fotografia leccatissima, Jaime Vadell, Marcelo Alonso, Pablo Larraín, Roberto Farías, suore preti e altre cristiane malvagità, tratto da una storia di poco falsa

elclubCon questo post voglio correggere un torto, un torto colossale, che si è consumato per l’intero 2015. Il tutto cominciò con la Berlinale 65, la scorsa edizione, quando il nuovo film di Pablo Larraín riscosse un consenso clamoroso e venne dato per favorito fino all’ultimo, quando dovette accontentarsi di un secondo posto. Taxi di Jafar Panahi è un film intenso e riuscitissimo, ma la vittoria se la meritava il maestoso, potente e PESO film di Pablo Larraín, che tra l’altro era incredibilmente in linea con i gusti berlinali. Non bastò.
Inviato dal Cile come proprio rappresentante agli Oscar e forte dell’Orso d’Argento, il film è stato snobbato già nella longlist di categoria. Un’esclusione abbastanza prevedibile, tenendo conto della preferenza accordata a film ben più tradizionali e concilianti di questo. Poi però come front runner troviamo un filo spaccabudella come Il figlio di Saul e in gara Il caso Spotlight, perciò c’è ben di che essere irritati.
Ciliegina sulla torta, una distribuzione italiana tardiva (quanti mesi fa vi ho parlato di Taxi Teheran?) e confusa, tanto che questa recensione, scritta da tempo, è rimasta nel limbo delle bozze per mesi, senza che nessuno sapesse quando sarebbe uscito nelle sale.
Rimediamo a tutto questo: cinefili, questa settimana il film da vedere è Il Club.
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Recensionando / Il caso Spotlight

18 giovedì Feb 2016

Posted by Elisa G. in 2015, Cinematografò, Recensionando

≈ 1 Commento

Tag

Autocompiacimento registico, Brian d'Arcy James, delicate palette cromatiche, Howard Shore, John Slattery, Liev Schreiber, Mark Ruffalo, Masanobu Takayanagi, Michael Keaton, Oscar 2016, Oscars, Rachel McAdams, ritratto di relazioni umane prima che lavorative, Stanley Tucci, suore preti e altre cristiane malvagità, Tom McCarthy, tratto da una storia di poco falsa, venezia 72

spotlightIl giornalismo investigativo degli inviati sul campo e degli scandali scoperti e documentati pezzo per pezzo sta morendo. Lo dicono gli ultimi valorosi interpreti del genere e lo dicono le redazioni, che ai tempi del software automatici che scrivono articoli e della dittatura di Google News non possono e non vogliono investire in una forma tanto dispendiosa di reportage.
Se il giornalismo investigativo non verrà salvato dai freelance o dal crowdfunding, Il caso Spotlight sarà il suo maestoso epitaffio, un grande film sul fare giornalismo e l’essere giornalista come non se ne vedevano da decenni, basato su una storia vera dalle tinte forti e manipolato da un talento poliedrico e sfuggente come Tom McCarthy, attore di riempimento, sceneggiatore di pietre miliari come Up e ora regista in corsa per l’Oscar.

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Recensionando / Philomena

27 venerdì Dic 2013

Posted by Elisa G. in 2013, Cinematografò, Recensionando

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Tag

dramma familiare obbligatorio, Gerontofilia, Judi Dench, Michelle Fairley, omoaffettività, Oscar 2014, Oscars, piangerone, Sophie Kennedy Clark, Stephen Frears, Steve Coogan, suore preti e altre cristiane malvagità, tratto da una storia di poco falsa, Venezia 70

Film come Philomena sono perfetti per il periodo natalizio e non solo in un’ottica di lancio in vista della stagione dei premi. Godendo insieme a pochissimi altri (Gravity e poi chi altro? Still Life?) di un vero e proprio trampolino di lancio in un edizione sonnolenta della kermesse lagunare, il nuovo film di Steven Frears nasconde ben più della magistrale interpretazione della sua protagonista, divenuta epiteto formulare dell’intera pellicola.
Philomena è un film accessibile a una fetta amplissima di pubblico, che vanta una qualità tale da rassicurare chi va al cinema a Santo Stefano ma non vuole vedere un cinepanettone, senza però essere così autoriale da escludere il pubblico di questi ultimi. I nomi coinvolti e l’interpretazione della Dench finiscono per attrarre anche chi il film autoriale lo cerca anche a Natale, mentre l’equilibrio perfetto tra componente drammatica e lieve ironia (con quel pizzico di relazioni familiari ritrovate che fanno tanto Natale) finisce per accontentare sia chi voleva ridere sia chi voleva il piangerone.
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SFF lover, pro reviewer, every day shipper.

Elisa Giudici, talvolta Gardy, sempre io.

Malvagia, misteriosa ed esotica, ho finito per fare del mio recensire a tempo perso un lavoro, tranne qui, dove continuo a perdere tempo dietro a cinema, letteratura e televisione.

Elargisco aggettivi e rintraccio sottotesti dalla nebbie padane, sognando tappeti rossi, viaggi interstellari, drammi vittoriani e statuine dorate.

Il mio animale totemico è un fottuto cervo metaforico (FCM).

Se "ci shippo qualcuno?" è la vostra domanda, questo blog è la risposta.

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