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007, Benedict Cumberbatch, englishness, Gardy consiglia, Ian Fleming, John le Carré, Tomas Alfredson, uno spia l'altro pure
Giunge l’autunno, si avvicina l’inevitabile bilancio di vita e cinema di fine anno. Di fronte a tanto malinconico tirar di somme, un po’ di nostalgia dovrebbe essere consentita.
Trovo che una delle sfumature più ammaliatrici del cinema sia il fatto che, a furia di mimetizzare la finzione nella sua mimica della realtà, finisca spesso per replicarne i meccanismi.
A differenza della realtà governata dalla natura, nel cinema ogni legge dettata dalla scienza e dalla quotidianità viene rispettata o infranta secondo il volere dell’uomo, con l’unico limite della tecnologia. Spesso il Maestro è colui che apre una strada inesplorata per ovviare le ristrettezze tecnologiche che lo costringono. Fare cinema, come in ogni ambito creativo, significa essere il dio cui spetta l’ultima scelta, anche se solo per la spanna temporale di una pellicola. A differenza delle altre arti, qui si tenta di rendere naturale questa creazione, con gli strumenti più efficaci per farlo: immagini al posto dell’immaginazione del lettore, rumori e voci al posto della musica del compositore, il buio della sala ad occultare la realtà.
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