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animali carini, Autocompiacimento registico, Berlinale, Berlinale 68, Bill Murray, Bryan Cranston, delicate palette cromatiche, film d'animazione in stop motion, Giappone, hipsteria portami via, Jeff Goldblum, Koyu Rankin, Kunichi Nomura, Wes Anderson
C’è stato un tempo in cui il cinema di Wes Anderson era davvero una chicca appannaggio quasi esclusivo dei cinefili che facevano dei loro gusti anticonformisti e ricercati motivo di vanto e punto d’onore. Poi è arrivato l’Internet delle masse e dell’alta velocità, l’hipsteria si è diffusa e insieme a barbe imperanti, polaroid e magliette a righe Wes Anderson è diventato l’equivalente della Marvel in campo fumettistico.
Incurante del suo ruolo contraddittorio di riferimento estetico di massa e icona di nicchia hipster (e della disperazione dei fan dell’epoca, costretti a scegliere se essere conformisti e sprezzanti rispetto al loro idolo), Wes Anderson è andato per la sua strada, continuando ad essere cinematograficamente fedele a sé stesso. Ormai non c’è davvero più bisogno di spiegare cosa e quanto ci sia del suo estro e del suo gusto in un film come L’isola dei cani, quindi concentriamoci piuttosto su un nome che non dovrebbe eppure ha ancora bisogno di presentazioni; quello di Kunichi Nomura.