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Come volevasi dimostrare, mancava solo che aggiungessero in coda al comunicato “comunque non andatelo a vedere, è veramente una merda”.

Ma è veramente così brutto, ‘sto John Carter from Mars?

(sapete di quella mia fissa per le locandine/copertine dei libri illustrate no? Ecco).


NO, John Carter non è brutto, anzi. La visione la merita sicuramente. Ed è questo che mi fa veramente abbruttire, come si possa vendere con successo il secondo e il terzo film della saga de Pirati dei Caraibi, che erano incomprensibili, e buttare alle ortiche una lavorazione così ben fatta. *bestemmia*

Ha indubbiamente dei difetti che potrebbero essere sintetizzati in un bel si fa vedere ma tende a non farsi amare.

  • Colpa della lunghissima introduzione scelta dalla sceneggiatura (Michael Chabon, di la verità, è colpa tua)? Perchè ora che John mette effettivamente piede su Marte, avrete già finito i pop corn.
  • Colpa dell’approccio molto classico allo sviluppo dell’avventura in un’epoca in cui se non c’e’ il camp o la svolta multilettura allora ci fa schifo?
    Non direi, ma indubbiamente il ritmo comincia a essere apprezzabile da oltre metà pellicola, culmina nel bellissimo montaggio della battaglia + flashback sul passato del protagonista e da lì va spedito. Non che prima manchino parti assolutamente godibili, non mancano le svolte classiche (“No, io non mi voglio sposare con lui per salvare il regno!”) ma si percepisce chiaramente lo scorrere della pellicola.
  • Colpa della mancanza di un cattivo con delle forti motivazioni? Non direi, anzi. Il fatto che Mark Strong faccia sostanzialmente da consulente matrimoniale si limiti a interferire lateralmente con il corso degli eventi come un vero deus ex machina tecnologico (pelato e a là Observer) qual è è apprezzabile.
  • Colpa del fatto che c’è con assenza di spiegoni + nomi strampalati le fazioni non sono così intuibili all’inizio? Ecco, questo sì.

Però non c’e’ nulla ad un livello tale che giudichi accanimenti come questi.
Anzi, nonostante l’approccio sia quello classico dei film d’avventura spaziale con tutti i topoi del caso, non mancano aspetti ben oltre la media.

Innanzitutto il livello tecnico è pazzesco, ovvero ci sono i soldi.
Onestamente la regia di Andrew Stanton latita più del solito, ma livello di CG, effetti speciali, fotografia, musiche (by Michael Giacchino, qui potete ascoltare tutta la OST molto canonica ma realizzata superbamente), il make up, la realizzazione degli alieni e *prende fiato* I COSTUMI.
I costumi della principessa Dejah sono da infarto, pur rimanendo del canonicissimo solco della principessa di un pianeta arido lontano lontano. Il mio cuoricino batte fortissimo al pensiero di questa perla realizzata da Mayes C. Rubeo.

L’elemento principe del promo, con questo abitino da personcina seria dietro, battona reale davanti. Se volete vederlo in tutta la sua bellezza, insieme al pareo primitivo di John Carter e al mantellone di Mark Strong, vi consiglio questo blog.

Altro punto forte, la principessa Dejah, interpretata da Lynn Collins. A differenza di fantastilioni di film di genere, Dejah ha un carattere (OH!) sa prendere delle scelte (OHHH!) e si permette persino di essere stronza (OHHHHH!). Ho letto di gente che si lamentava, ma sinceramente non capisco. Meglio la solita idiota che attende i destini della guerra dal suo balcone e quando le dicono “Devi sposare tizio?” dopo due minuti ha già la fede? GIAMMAI.
Dejah è una scienziata, sta progettando un’arma per vincere la guerra. Quando le dicono che deve sposare il babbione manovrato da Mark Strong lei scappa, perchè non ne vuole sapere. Quando poi si trova tra le mani John Carter, questo buffo tizio che possiede eccezionali capacità di lotta e resistenza, pensa bene di intortarlo per portarlo dalla sua parte. Sa combattere, e non per modo di dire. E’ una discreta gnocca.
Quando poi deve indossare l’infamante vestito da battona reale, sottolinea che a lei non piacciono vestiti così osceni come vuole la tradizione. LA AMO.

Per quanto riguarda il John Carter di Taylor Kitsch, lui ha un phisique du role pazzesco. Cioè, io non so più come dirvelo, pubblico femminile, che lui passa 3/4 del film più ignudo della tipa, a rotolarsi nella sabbia e a sistemare i suoi capelli sempre perfetti.

Appurato il fatto che il protagonista è figo, forse l’interpretazione  poteva essere più carismatica, ma sotto questo punto di vista il doppiaggio italiano rimedia tantissimo.
Solo sul finale diventa un po’ problematica la questione di questo Carter che teneva in braccio il baby nipote ora ventenne. Sarà l’aria di Marte.
Ma noi si risolve così, voi attaccate a shipparli e io passo al prossimo punto.

Marte. A parte i bellissimi scenari dello Utah e le scenografie spettacolari (le porte girevoli! Il tempio! Le navi a pannelli fotovoltaici!), il pianeta è intrecciato in tutte le storie dei comprimari, che sono veramente sviluppate e non piantate lì per riempire i vuoi tra una scena e l’altra. Le storie rimodernate di Tars, Sola e la tribù dei Thern forniscono alla pellicola quello spessore che poteva mancare ad un ciclo scritto nei primi anni del novecento.

Direi che non sia da sottovalutare nemmeno il fatto che il film abbia un vero finale.

Lo vado a vedere? Insomma, io non so più come dirvelo che spendere due ore del vostro tempo a vedere John Carter sarà quantomeno piacevole. Se poi il genere fantascienza/avventura/film con gli effetti speciali fighi vi piaccia e non l’avete ancora visto, ve ne pentirete.
Se poi siete dei fattoni di Stargate, dovevate andare 2 settimane fa.
Ci shippo qualcuno? C’e’ qualcosa di perverso nella parte di storia sulla terra, tra quel fessacchiotto del nipote e John stesso. Andata.
Coefficiente Stargate? Incalcolabile. Ci sono lucine azzurre OVUNQUE.
Nota aggiuntiva: Dopo averla vista in questo film, sosterrò a vita Lynn Collins nella remotissima eventualità che sblocchino un progetto serio su Wonderwoman.

Ma cos’e’, è di moda fare le cover (fighe) delle canzoni dei Led Zeppelin da mettere nei trailer? John Carter presenta Kashmir versione orchestrale. E’ stupenda.