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Se sono io la prima a dirvi che Inside Out, il nuovo film della temuta combo Disney Pixar, sì, ma anche il ritorno al timone dell’amato e celebrato sceneggiatore e regista Pete Docter, è un grandissimo film per cui si potrebbe spendere in futuro la parola che inizia con la c e finisce con apolavoro, potete fidarvi. Nel senso, se il metascore al 9,1 e l’ovazione eccezionale dopo il passaggio a Cannes (dove fuori concorso rischiano di essere passate le migliori pellicole del 2015) proprio non vi bastano.
Questo perché nel lontano 2009, anno in cui uscì Up – film successivamente acclamato con l’ultimo capolavoro di un epoca ormai perduta dello studio di animazione – io già storcevo il naso e facevo nonono con la testa, disprezzando la chiusura paracula di quel film.
Date le recensioni entusiaste che sono piovute dalla Croisette, sapevo di non dover temere troppo il corso della nuova Pixar, tutta sequel e design pucciosi da vendere con facilità nei Disney Store. D’altronde stiamo pur sempre parlando di un film con protagoniste le vocine del cervello, le emozioni primarie (paura, gioia, tristezza, rabbia e disgusto) che regolano la vita di tutti. Se un film si presenta come l’Essere John Malkovich della Pixar ed è diretto da uno dei suoi registi e sceneggiatori più ammirati e ricchi di inventiva, uno si aspetta quantomeno di non incappare nelle produzioni più grigie e falsamente rassicuranti degli ultimi anni.
Su questo punto ci siamo. Inside Out è, ancora una volta, uno splendido racconto di formazione, un coming of age celebrale con al centro Riley, una bambina americana media, capelli biondi, occhi azzurri e un cuore grande così inclusi.
Il bello del film è proprio quello di fornire una cronaca della crisi proprio dal luogo del disastro, il cervello, seguendo tutti i dolorosi, malinconici passaggi che la vedono abbandonare per sempre il mondo dei colori netti e delle distinzioni emozionali precise (bene male, gioia tristezza) per quello più sfumato e complesso della pubertà. Complice un trasloco improvviso, Riley si ritrova in una nuova città, con alle spalle le amicizie e i ricordi dell’infanzia, lontanissimi, e una serie di prove stressanti davanti a sé.
Mentre da fuori sembra attraversare una crisi dovuta al profondo stress della situazione, il suo primo momento di negazione all’immagine bambinesca della ragazzina sempre felice, dentro il suo cervello di consuma una crisi più seria, con Gioia e Tristezza lontane dal quartiere generale delle emozioni, ma fermamente intenzionate a tornarvi.
Detta così sembra una mappazza drammatica e di certo i momenti che stringono il cuore non mancano, ma il film è sapientemente controbilanciato dalla verve comica delle cinque emozioni fondamentali e dai risultati tragicomici che le loro errate interazioni comportano. Non manca qualche tormentone e un paio di stereotipi di genere (anche animale) ben piazzati, a condire quella che è una piccola, splendida storia di normale formazione.
La chiave di volta ancora una volta sta nell’estrema sensibilità che Pete Docter sa mettere al servizio del quotidiano: il film tocca nel profondo perché parla di emozioni ed esperienze primarie che tutti abbiamo vissuto, ma sapere trasformare i passaggi ordinari del crescere in qualcosa di straordinario e potente è prerogativa di pochi. Inside Out a ben vedere è il trionfo della media borghesia, dell’average e fare emozionare con quanto di più comune e quotidiano conosciamo attraverso l’esperienza cinematografica non è mai semplice.
Anche rispetto all’acclamatissimo Up, Inside Out sembra fare un ulteriore passo avanti, resistendo fino all’ultimo e negandosi quella virata rassicurante e paraculissima che imprimeva una nota così stonata nel finale di un film altrimenti molto toccante. Stiamo pur sempre parlando di un film per famiglie in cui non viene mai a mancare una certa nota di serenità, ma per una buona volta viene superato un punto di non ritorno in maniera netta, si nega appieno la possibilità di tornare indietro a com’era tutto prima e anche nel finestrino in cui si specchia Riley durante il trasloco e sulla corriera è possibile finalmente vedere riflesse tutte quelle opzioni più scure che certo il film non intraprende, ma di cui almeno non nega più l’esistenza.
Prima del film, il solito corto arraffa-Oscar, Lava: la storia di un vulcano forever alone che cerca invano l’amore. Molto bella l’idea di narrarlo interamente in forma cantante (d’altronde quando ai a disposizione Michael Giacchino, sfrutti Michael Giacchino), ma sarebbe stato assolutamente perfetto a trenta secondi dall’ennesima paraculata finale.
Lo vado a vedere? Inside Out sarà uno dei migliori film del 2015 quando faremo le stime di fine anno. Bello, emozionale, splendidamente scritto e per una volta capace di meravigliare e commuovere senza mai uscire dallo stretto quotidiano occidentale, è una sorta di vittoria agrodolce della Pixar, capace di tornare ai suoi fasti trascorsi, sì, ma incapace di farcela senza i nomi della prima guardia.
Ci shippo qualcuno? Non ne ho il minimo dubbio. Non che io ci abbia visto qualcosa, ma questa tipologia di pellicole per bambini con i personaggi ben codificati tende a tirare fuori il peggio dalla gente. Certo, non siamo comunque parlando de Le 5 Leggende.
Settembre.
In Italia esce a Settembre.
Io boh.
Sì, lo so.
Contando quanto poco incassano i film Pixar in Italia però non mi sento di criticarli nemmeno troppo.
Questa informazione mi mancava..pensavo andassero bene come nel resto del mondo!
No, da noi alcuni Pixar son stati dei mezzi disastri.
Quindi questo Inside Out è una vera sopresa visto che è il film che più ha incassato in questa stagione, battendo pure i Minions!
Direi che c’è finalmente un po’ di buon senso al box Office.
Leggo ora la recensione, a poche ore dall’uscita dal cinema. Che dire: i primi minuti di Up sommati alla scena finale di Toy Story 3, e in mezzo 90 minuti di altre scene da groppo alla gola. Visto con mio figlio di 4 anni (alla sua seconda visione, ché già c’era stato con la mamma) diciamo che mi sono sentito particolarmente toccato dalla vicenda.
Difficile non farsi salire i lacrimoni. Una curiosità; come ha reagito il piccolo? Molti dicono non sia un film per bambini…sono curiosa.
Molti ce l’avevano sconsigliato, ma abbiamo voluto provare perché va al cinema da quando aveva 2 anni, tutti i film pixar, Miyazaki, Takahata. A tavola facciamo il gioco dei film e ne conosce più di alcuni nostri amici. Insomma non è proprio il bambino tipo, da questo punto di vista.
Iside Out l’aveva già visto la settimana scorsa con la mamma (io tenevo la piccola) ed è voluto tornare con me. È entusiasta, e l’ha capito sul serio: oggi mi diceva che ha menato il suo compagnetto all’asilo perché gliel’ha fatto fare rabbia. Quando è nata la sorella era guidato da Gioia, ecc.
Non so, probabilmente è un film che può essere visto a più livelli, sicuramente il tema della crescita è fuori dal suo orizzonte, ma posso dirti che come famiglia ci è servito in un momento delicato e destabilizzante come l’arrivo della sorellina.
La maestria della Pixar vecchia scuola sta proprio lì: preservare uno primo strato comprensibile e divertente per i bimbi e poi costruirne un altro per i grandi.
Ero abbastanza certa che questo fosse il caso e la tua carinissima testimonianza mi ha confermato che non mi sbagliavo.
Sono d’accordo: uno dei film preferiti di mio figlio è Wall-e, che per certi versi è il film più coraggioso della Pixar (40 minuti di cinema muto…). Su una cosa dissento, però: il giudizio su Up e sul declino della pixar. D’accordo, stendiamo un velo pietoso su Brave e i vari cars, planes… Però Up è tra i capolavori accanto a wall-e e permettimi di inserire Toy Story 3. Questi tre film, in particolare, sono lefati da un discorso molto coraggioso che la pixar sta portando avanti: la necessità di accettare che le cose belle finiscono, per andare avanti e continuare a vivere. In questo Inside Out è in piena continuità con Up (che non trovo più consolatorio di quest’ultimo) che con il finale di Toy Story 3: la vita continua per i giocattoli come per il signor Fredricksen e per Riley, il passato non può essere recuperato, ma potranno esserci nuove gioie.
Toy Story 3 sì, Up no. Comincia come un capolavoro ma poi…no. Chiamatemi insensibile ma no.
Io metterei in chiaro che è un film per bambini. Vero che ‘Up’ delude: happy ending all’americana