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Almeno un paio di volte l’anno tocca anche ai cinefili paurosi come la sottoscritta arrendersi alla necessità di andare in sala e soffrire le pene dell’inferno orrorifico per merito e colpa di pellicole di paura che hanno riscosso il plauso della critica e del pubblico oltreoceano. È successo con It Follows, The VVitch, Get Out e quest’anno è già capitato di parlare (e bene) di Un posto tranquillo. La premessa di Hereditary – Le radici del male avrebbe dovuto essere sempre quella di horror ottimamente diretto da un esordiente o poco più che si fa notare e che vale la pena vedere in senso cinematografico e cinefilo. Ecco, stavolta per me questa premessa è stata tradita, perché per perdonare a questo film i suoi scivoloni bisogna essere quantomeno appassionati del genere e affamati di nuove pellicole orrorifiche.

Con un pugno di cortometraggi in tasca e un periodo davvero no per la sua famiglia da lasciare alle spalle, lo sceneggiatore e regista Ari Aster comincia a pianificare scrupolosamente il suo esordio nel mondo del cinema. Ancor prima di aver reperito le risorse finanziarie necessarie, Aster ha immaginato ogni ripresa del film, le biografie dei suoi personaggi, disegnato la villa familiare su tre piani in cui si svolge la sua sinistra storia di possessioni e maledizioni.
Casa che più tardi ricostruirà negli studi dello Utah, per avere mano libera nel mettere in atto gli studiatissimi e un po’ compiaciuti movimenti di dolly con cui fa sentire la sua presenza allo spettatore, sin dalla prima scena. Quel bellissimo allargarsi dell’inquadratura che dalla miniatura di una stanza costruita dall’artista protagonista ci trasporta sfumando nel medesimo ambiente della sua casa vera e propria è un piccolo saggio di maestria che richiama e reclama subito l’attenzione del pubblico.

La fotografia suggestiva, le musiche molto curate e le scene di cast denunciano come Aster non abbia lasciato davvero nulla al caso. Se la performance convincente di Toni Collette – dati i suoi notevoli precedenti –  non giunge inaspettata, sorprende notare come i giovani interpreti dei suoi figli Alex Wolff e Milly Shapiro riescano a tenere il passo della protagonista a cui è affiancato un Gabriel Byrne un po’ sacrificato in un film tanto matriarcale.
A dare il via alla tortuosa spirale di tensione del film è infatti la morte della capofamiglia di casa Graham, la madre di Annie i cui comportamenti maniacali e la riservatezza misteriosa hanno profondamente segnato la psiche della figlia.

Annie è sopravvissuta a una storia familiare di tragedie inspiegabili, malattie mentali terribili ed eventi luttuosi, trovando nel compagno Steve la roccia a cui aggrapparsi, attorno a cui costruire una vita familiare non semplice ma a suo modo rassicurante, all’interno di una casa isolata tra i boschi.
La morte della madre si rivela però solo l’inizio di una lunga serie di eventi drammatici che non solo scuotono il presente di una famiglia che sembra maledetta, ma che fanno riemergere segreti di un passato recente altrettanto drammatico, che ha minato i rapporti tra i consanguinei.

Mentre Annie cerca di esorcizzare i suoi demoni ricostruendo gli avvenimenti più drammatici del suo rapporto con al madre in modellini in miniatura destinati a una mostra, il film fa pian piano crescere il mistero e la tensione in una prima parte davvero promettente, che culmina in una scena esemplare, inaspettata, fortissima, che si imprime nella memoria.

Proprio quando Hereditary – Le radici del male sembra destinato a tener testa a un certo tipo di film horror vecchia scuola a tema possessioni e spiritismo, ecco che il terreno gli frana sotto i piedi. Non è raro vedere un film collassare al momento di fornire le risposte: delle premesse accattivanti e misteriose non sono poi così difficili da mettere in piedi, ma fornire risposte all’altezza delle stesse è quello che distingue un ottimo film di genere da uno mediocre. Raramente però capita di vedere un film così attentamente pianificato abbandonarsi in un turbinio di spiegazioni frammentarie e pretestuose, che fanno crollare l’aspettative del pubblico. Più il film si addentra nella psiche di Annie e nel passato della madre più deve chiarire quale delle due sia folle, se le presenze sinistre nella casa siano frutto della psiche della figlia o delle losche pratiche della madre. Le presenze che Annie e il figlio Peter percepiscono sono quelle dei congiunti venuti a mancare? Le risposte più che svicolare si tuffano nel nonsense, che fanno percorrere la sala più da risolini imbarazzati che da brividi di terrore.

Hereditary – Le radici del male fa la fine peggiore: quella del film horror che scade nel ridicolo involontario, cornice in cui tutta la buona volontà registica di Aster e la sua ambiziosa chiusa mistico/simbolica scadono nell’esagerazione gradassa e manierista. Quello dello spettatore è un brusco risveglio in cui tanti dettagli stuzzicanti disseminati per il film si rivelano inutili e accessori, le soluzioni per mandare avanti la storia si trovano comodamente evidenziate nella pagina col segnalibro del libro che occhieggia dalla pigna di tomi a portata di mano e quello che sembrava un horror palpitante e avvolgente si trasforma nella fredda e fasulla miniatura del grande film che poteva essere. Provaci ancora Aster, che in fondo il tuo obiettivo l’hai raggiunto: terremo d’occhio le tue prossime prove.