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birdman1Essere davvero bravi in quello che si fa, essere compiaciuti dal saperlo. L’ultimo film di Alejandro González Iñárritu, che si prepara ad affrontare la notte degli Oscar da testa di serie, è l’esempio perfetto di questo assunto. Negli anni ho preso l’abitudine di dividere i registi di fascia alta in due grandi gruppi: quelli molto bravi e desiderosi di far bene e quelli molto bravi e desiderosi di far notare al proprio pubblico quanto stiano facendo bene.
Solitamente si usa un lungo pianosequenza, un movimento di macchina ardito ed inaspettato, una scena così clamorosa che sembra quasi una pausa di narrazione dal film in cui il regista sussurra allo spettatore “ecco, adesso prendiamoci cinque minuti in cui ti mostro di cosa sono capace”. Sfruttando le possibilità del digitale, Birdman espande questo momento di estetica e potenza espressiva per tutta la sua durata.

In sintesi: nell’anno in cui Boyhood ha cercato di imporsi come il film più particolare con i suoi tempi di realizzazione e montaggio dilatati, Birdman si assesta sull’estremo opposto dello spettro, con il suo ritmo e montaggio non montaggio incalzante e senza respiro. Se fossi un membro dell’Academy e non avessi a disposizione un tot di pellicole (Gone Girl e Under The Skin, ad esempio) non esiterei a sostenere Birdman nelle categorie maggiori, perché è davvero un gran bel film e una visione irrinunciabile per ogni cinefilo degno di questo nome.

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Se Richard Linklater ha stupito per perserveranza di narrazione del contemporaneo via giustapposizione, bisogna riconoscere a Alejandro González Iñárritu di aver spinto molto più in alto il livello dell’asticella, infilandosi volontariamente in un film composto quasi esclusivamente da lunghissimi piani sequenza fusi ad arte uno con l’altro. Sfruttando le possibilità inesplorate del digitale, il regista ha abbattuto il muro di quei 7,8 minuti che l’estensione fisica della pellicola non permetteva di superare senza un taglio, camuffando gli stacchi tra una lunga sequenza e la successiva fino ad ottenere un’esperienza unica, che coglie lo spettatore continuamente di sorpresa. L’occhio non è abituato a una visione così fluida e dinamica e l’effetto è palpitante, un infinito crescendo che non dà tregua allo spettatore e ben si adatta alla natura nevrotica del protagonista. Bisogna poi sottolineare come sia tecnicamente ardito un lavoro di questo tipo, anche con le possibilità del digitale: non oso immaginare che incubo sia stato per chi ha dovuto costruire i set, sistemare le luci e i carrelli, e per gli attori, costretti a una versione molto teatrale del loro mestiere, a un buona la prima quasi obbligato.

Detto questo e ribadita l’assoluta qualità della pellicola, ci tengo a sottolineare un paio di aspetti che trovo significativi del film. La scelta di Michael Keaton come protagonista è evidentemente connessa alle numerose sovrapposizioni tra la sua biografia e quella del suo nevrotico alter ego Riggan; difficile non ricordarlo nei panni dei primi, bellissimi Batman, quasi altrettando arduo ritrovare nella memoria una singola intepretazione all’altezza da quei primi film supereroistici al ripescaggio di Iñárritu. Regista che non si limita a donare a Keaton il rilancio, ma consente a Edward Norton e Naomi Watts di battere un colpo e a giovani in ascesa come Emma Stone, Zach Galifianakis e la sempre più impressionante Andrea Riseborough di dimostrare la loro bravura oltre la patina del glamour. Le perfomance sono sì notevoli, ma aiutate da una cornice che rifugge il sommesso naturalismo e sprona i suoi interpreti a scavare nella loro bravura fino all’eccesso, rendendo il sottolineato, il sopra le righe, il platealmente teatrale possibile e positivo, rendendo questa auto-celebrazione della propria qualità una faccenda collettiva.

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Birdman si inserisce in maniera inedita e fortemente contemporanea (forse si potrebbe definire come un instant movie, la cui pioggia di riferimenti è destinata a diventare impenetrabile oltre il qui e l’ora) in quel filone di grandi film autoriali che si appoggiano alla grande tradizione teatrale. In questo caso si punta più a sfruttarne la cornice e il continuo contrasto tra la nobilità del teatro contrapposta alla banalità consumistica del cinema.
Non si può non sottolineare però come Hollywood ancora una volta preferisca abbracciare le nevrosi di un uomo bianco che si considera un genio irriconosciuto e che forse, sotto uno trasognato strato di psicosi e follia, lo è, a tante altre storie diverse dallo standard ma ugualmente forti. Al suo fianco inoltre giganteggia un altro giovane uomo bianco geniale, mentre rimane relegata ad un ruolo di contorno (quasi sempre sessualizzato) l’ennesima carrellata di figure femminili che assiste, sprona o stronzeggia più che agire in autonomia.
Insomma, è bene non dimenticare che Birdman è un film che si diverte ad affondare il coltello nelle piaghe della Hollywood moderna, inconsapevole però la violenza del suo attacco mette ancora più in evidenza quanto esso stesso sia figlio di quell’istituzione che vuole condannare, di quanto sfrutti biecamente alcune convenzioni tanto ingiuste quanto quelle che vuole demolire.

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Lo vado a vedere? Birdman è decisamente uno dei film dell’anno (scorso) che va visto al cinema. Autoriale ma divertente e incalzante quel tanto che basta da non escludere quanti si sentono ben disposti ma un po’ spaventati dal cinema “alto”, si fa forte di una storia che fonde con grande maestria cinematografica psicosi e realtà, lasciando allo spettatore la gioia di decidere cosa ricada in una categoria e cosa nell’altra, regalando un paio di sequenze di vera poesia visiva, oltre che a un finale degno dei suoi presupposti. Inoltre ricorda al resto del mondo autoriale che la tecnologia non è (più) territorio dei film commerciali, anzi, l’autorialità può e deve farla sua, perché il risultato può essere grandioso.
Ci shippo qualcuno? [SPOILER] Fa sempre piacere rivedere in atteggiamenti lesbo en passant una con i nobili precedenti di Naomi Watts e darei qualche organo secondario per vedere Andrea Riseborough farsi precedenti in questo senso (e soprattutto: ce la vedrei tantissimo). Detto questo l’intermezzo presente nel film è palesemente pensato e destinato a un voyeurismo maschile, data poi la pretestuosità del suo inserimento. Io ho comunque apprezzato: zompale addosso Andrea!