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In quanto sostenitrice senza quartiere e grandissima estimatrice di Joe Wright e delle sue compiaciutissime regie, attendevo Anna Karenina con un misto di emozione e purissimo terrore, dato che le recensioni in madre patria non erano esattamente entusiastiche.
Data la (lunga) attesa italiana, ho persino riletto il libro (che non è proprio la lettura di un pomeriggio invernale e poco più), pronta al grande momento e impaziente di dirvi cosa ne penso, perché si sa, Joe Wright è una questione di testa e cuore e, quando ci si mette….è buono qui *indica la testa* è buono qui *indica il cuore*.
Non temete: quando è stato necessario ho contenuto gli entusiasmi o l’ho direttamente massacrato. “Il solista” non glielo perdonerò mai! MAI!

Per me, la scena più emozionante del film e la perfetta sintesi del processo di adattamento di Wright.
Passando a parlare di Anna Karenina…torniamo a parlare dello smisurato ego di Joe Wright, che lo porta a fare molte scelte radicali, alcune radicalmente sbagliate, che mettono al centro ancora di più il suo lavoro su un bilancio totale del film. In sintesi pre-spappagnata infinita, va a finire come sempre. Se vi piace lo stile di Joe Wright e passate il tempo a salvare le gif tratte dai suoi film, andate a vederlo tranquilli, se lo strozzereste a mani nude dopo avergli inflitto sessioni varie di water boarding…gli vorrete infliggere una sessione aggiuntiva, dopo questo.
Anna Karenina è un film che avrebbe potuto essere incondizionatamente meraviglioso, ma non lo è. Tecnicamente è come al solito spaventosamente efficace, preciso, squisitamente barocco (un po’ Baz Luhrmanniano? Massì!) ed efficacissimo nel sottolineare ogni sfumatura d’amore, come i bellissimi poster della campagna promozionale suggerivano.
(Credo che “efficacissimo” ricorrerà parecchio a seguire. State pronti.)
Il cast tecnico è quello di sempre, quello dei grandi film di Wright. Quindi la colonna sonora emozional-russa è affidata a Dario Marianelli, che si becca anche una nomination all’Oscar. La splendida fotografia è affidata al solito Seamus McGarvey, ancora una volta impegnatissimo a ricreare quella palette cromatica emotivamente adeguata, a mettere calze sulla cinepresa per far risplendere con bagliori dorati la pelle dei protagonisti, a ricreare connessioni a celebri quadri impressionisti (tipo la smaccatissima scena omaggio a questo che sgamerete sicuramente anche voi perché altro che urlata).
Possiamo poi soprassedere sul lavoro di Jacqueline Durran, la donna che creò l’Abito Verde (maiuscolo) di “Espiazione”? NO.
Facendo una rapida ricerca su Google, noterete che i fermo immagine più diffusi del film sembrano più concentrati sul guardaroba di Anna più che su Anna stessa. In effetti i costumi qui sono molto evidenti e il messaggio che esprimono è un po’ troppo invadente, però sono belli da star male. Si tratta di tutto un metaforone buttato lì ogni momento, con il tema di Anna/uccello in gabbia. E quindi inquadrature con tutta l’impalcatura gabbia nel sottogonna e dettagli di piume (il mantello nero con le piume dorate, svenimentooo!) a non finire. Durran si prendere parecchie libertà, infrangendo una caratteristica esplicita del romanzo, ovvero la predilezione della moglie di Karenin per il colore nero. Qui invece è evidente un andamento cromatico che sottolinea molto l’emozione della protagonista, con bianco di pura felicità, rosso passionale e nero disperazione che si alternano con il proseguire della storia. Forse non sono i costumi più discreti dell’universo cinematografico (anzi), però non potete chiedermi di biasimare sul serio la Durran. Anche perché lei stessa spiega di aver condotto una lunga ricerca sulla moda russa a cui adattare dettagli dello stile francese degli anni ’50/’60 sia per l’influenza che il mondo francese aveva sulla società russa del periodo, sia perché Joe Wright amava quell’estetica (quindi daremo la colpa a lui). Invece il taglio per la contessa Betsy è completamente diverso, decisamente più moderno e un po’ giapponese, per richiamare la sua artificiosa mondanità. La divisa di Karenin, per chi ha letto il libro, è da impietrirsi dallo stupore: rende alla perfezione la santa laicità, il rigore e la rigidità morale dell’uomo.
Passiamo al punto cardine e al casino che deve essere stato realizzare questo film. In pratica Tom Stoppard aveva scritto la sua brava sceneggiatura e l’aveva affidata a Joe Wright che, non pago di un progetto così impegnativo, cosa si va a pensare? Di ambientare tutta la parte relativa all’alta società russa (cioè la quasi totalità del film) in un teatro diroccato dove le varie scene sono a metà tra veri luoghi e palcoscenici teatrali comunicanti tra loro con una serie di giochi di passaggi e porte e di inquadrature senza tagli in cui comprimari e comparse eseguono coreografie danzanti per rendere il cambio di scena fluido. Io immagino che diversi tecnici (tra cui il direttore della fotografia, la scenografa e l’arredatrice fisse di Wright, Sarah Greenwood e Katie Spencer) abbiano pensato che fosse uno scherzo e successivamente abbiano pensato di ucciderlo nel sonno. Lo stesso Stoppard non era sicurissimo di voler imprimere questo cambiamento alla sceneggiatura.
Leggenda vuole che Wright abbia avuto l’idea in corso d’opera ripensando al libro “Natasha’s Dance: A Cultural History of Russia”, dove si paragona la società russa a delle persone che vivono la loro vita come se fossero su un palcoscenico, in bilico in quanto russi in una crisi d’identità, non sapendo veramente se la loro nazione sia parte dell’Oriente o dell’Occidente.
Non so se sono davvero convinta che non l’abbia voluto fare solo per fare vedere quanto è bravo, tuttavia, considerando il libro, è un’idea piuttosto funzionale a far emergere un sottotesto concreto del testo. Joe Wright poi sostanzialmente monta sul questa struttura entrambe le storie d’amore, non trascurando il potente controbilanciamento dell’amore di Levin per Kitty nell’economia della storia. Bravo.
Vorrei ricordare che il produttore del film ha detto:
“Ian McEwan, l’autore di Espiazione, mi ha detto che lui pensa che quella tra Levin e Kitty sia la più grande storia d’amore della letteratura. Per Tolstoj, la storia di Levin era in parte autobiografica.”
Anche lo spostamento a metà storia dell’intero metaforone del cavallo e quella scena pacchianissima con il lucore bianco su fondo nero rendono palese un paragone che nel libro così palese non è. L’uso dei dadi in legno con le lettere (fatti fare apposta a mano, perché sì) è di una raffinatezza notevole, specie perché rimane fedele alla scena cardine tra Kitty e Levin donandole ulteriore tenerezza (e tracciando una conclusione dal primo utilizzo dei dadi di Anna).
Due scene in particolare sono il momento assoluto di compiaciuta bravura di Wright e, di conseguenza, mi hanno indispettito e conquistato tutto assieme: il stupendo montaggio in crescendo del galeotto ballo e lo stesso crescendo nella corsa con Frou Frou.
Credo di aver momentaneamente concluso il momento in cui dimostro il mio apprezzamento per la regia del film.
Riassumendo, il film registicamente funziona alla grande, a patto di non soffrire troppo del presenzialismo di Wright, che rendere Anna Karenina la sua direzione di Anna Karenina.
Problema: c’è un errore, una falla che vanifica l’imponente produzione di questo film e quella miriade di accortezze e dettagli che quando vedi il commentary ti si scalda il cuore, a vedere la cura profusa in ogni dettaglio.
Detto papale papale: Keira Knightley e Aaron Taylor-Johnson rovinano tutto, non sono assolutamente all’altezza. Un mito del genere, girato in maniera così impostata e artificiosa, richiede una naturalezza estrema affinché lo spettatore non venga distratto dalla confezione e il dramma amoroso non risulti fasullo. Loro due sono i protagonisti assoluti e sono ben lungi dall’essere naturali.
Con un distinguo. Keira Knightley non è mai stata un’attrice strabiliante ma qui sfodera forse la sua interpretazione migliore di sempre. Il che è tragico, perché a fronte di un suo evidente impegno e di scelte non scontate (apparire con così poco trucco, vulnerabile, evidenziare il lato negativo di Anna senza sconti) soccombe non perché non è brava, ma perché non è brava abbastanza. Abbastanza per l’icona, il mito letterario, l’immagine collettiva di quest’eroina. Difficile non soccombere quando Greta Garbo e Vivien Leigh stanno lì a pietra di paragone ma stavolta, a livello di casting, si sarebbe veramente dovuto cambiare e scegliere più oculatamente. Odio profondamente chiunque (non riesco a ricordare chi) se ne era uscito dicendo che “eh ma Rachel Weisz era perfetta come Anna Karenina” perché cazzo, questo tarlo continuerà a rodermi il cervello in eterno.
Vi imploro di essere comprensibili con la Knightley, ma vi esorto a sparare senza pietà su Aaron Taylor-Johnson. Gli va ancora bene che conciato così in pochi capiranno che si tratta del protagonista di Kick Ass. L’ho detestato e disprezzato come Vronsky come pochi altri personaggi in vita mia. All’inizio del film lui si pianta su la faccia del seduttore, fine della storia. Se è vero che la componente emotiva del film si basa essenzialmente sulle risposte di Anna, è anche vero che *bestemmia*, visto così sembra che lui sia un novello John Malkovich (mi riferisco a “Le Relazioni Pericolose”) che la vuole sedurre. Io sfido chiunque a vedere il famoso e più e più volte citato sguardo di totale adorazione e fedele assoluta, incondizionata resa che fanno capitolare l’irreprensibile Anna Karenina, l’amore ininterrotto che sconfina nella devozione anche nei momenti più tormentati. Basta, non fatemici pensare.
Jude Law che fa Karenin è così impareggiabile che mi pento di aver dubitato di lui. Chi avrebbe mai detto che uno con il fisico e il curriculum di Law avrebbe reso così alla perfezione (e così umanamente) la rigidità monacale e l’incapacità emotiva di comunicare il proprio affetto a moglie e figlio di Karenin? La grandezza espressa nel singolo gesto di Karenin/Law che estrae un certo scatolino, il sottile senso di dovere coniugale e repulsione di Anna che esprime…Jude Law è semplicemente pazzesco.
Passando a Kitty e Levin, sono emozionali e teneri al punto giusto, senza strafare. Domhnall Gleeson ultimamente si vede parecchio (recuperatelo nella 2×01 di Black Mirror) e anche Alicia Vikander potrebbe tranquillamente essere la nuova attrice lanciata da un film di Wright. Impossibile citare veramente tutte le belle prove del cast o gli eccellenti ripescaggi; vi basti sapere che è un grande cast di ottimo livello e accuratamente scelto in base alle caratteristiche dei personaggi, ma canna tragicamente e clamorosamente sui protagonisti.
Ok no, due righe su qualcuno le devo spendere: Matthew Macfadyen è un Oblonsky all’inizio fin troppo ridicolo, ma che sa rendere il senso di impunità che lo circonda, Ruth Wilson è una splendida e falsissima Betsy. Lei e le altre contesse pettegole sono meravigliose. Olivia Williams ha un ruolo abbastanza ingrato, ma lo veicola al meglio in quei 5 minuti a disposizione.
Per chi ha letto il libro, ci sarebbe un certo discorso da fare sulla chiusa del film, che ovviamente è prepotentemente spoiler. Diciamo che mi piace pensare che l’interpretazione stellare di Jude Law abbia convinto Wright a dare un senso compiuto al suo personaggio.

Il mio nuovo mezzo di trasporto preferito.
Credo di aver finito. Se avete letto davvero tutto, avrete capito che di fronte al clamoroso fallimento dei protagonisti, un film che aveva sì anche qualche pesantezza organizzativa ma era comunque validissimo crolla nel gorgo dell’onnipresente regia. C’è da dire che va riconosciuto come, in un’annata in cui in molti sono rimasti di poco sotto le tre ore, Wright e i suoi ci restituiscono un adattamento comprensibile di Anna Karenina in due ore e nove minuti.
Lo vado a vedere? Se vi piace il film dal grande classico letterario/il film in costume/la grande storia d’amore, allora sì, specialmente se sapete di reggere bene, o meglio ancora amare l’impostazione ruffiana di Joe Wright. Sennò pensateci bene.
Ci shippo qualcuno? Non lo so. Ero troppo impegnata a shippare me stessa con la regia di Joe Wright.
Coefficiente kleenex? Pochissimo, perché i due protagonisti non veicolano niente. Però se vi commuove la tenerezza, allora Levin e Kitty.
Qui la versione concisa su LoudVision